lunedì 8 marzo 2004

L' ultima lezione di Enzo Biagi di ANNA ROSA MACRI'



Orfane, vedove e figlie di puttana.

Una volta ho detto ad una platea di ragazze che avevano in mente di fare da grandi le giornaliste che per farlo decentemente avrebbero dovuto accettare di essere orfane, vedove e figlie di puttana. Hanno sbarrato gli occhi. Ammazzare il padre, se necessario: uscire di casa, abbandonare le certezze, liberarsi dalle dipendenze, ricreare il mondo daccapo. E poi nessun paracadute, nessuna protezione mafiosa o occulta, niente padrini. E nessuna dipendenza diversa: solo chi ci legge o ci guarda è il nostro padrone.
Questo è un mestiere labilissimo: «col quotidiano del giorno dopo ci puoi solo incartare i pesci», si dice cinicamente nelle redazioni. La notizia-mercé diventa avariata in un batter d’occhio, e puzza di stantio come i pesci dentro il giornale. Invecchia la notizia e invecchia persino il modo di scriverla, di rielaborarla, di andarsela a cercare. Invecchiano le parole, i ritmi, le analisi, gli argomenti.
E non si impara sui libri, 'sto mestiere. I libri sui media che ho nella mia biblioteca sono superati dopo un giorno. I maestri, invece, bisogna saperli riconoscere. Perché il
nostro è un mestiere artigianale, e se non ce  l'hai a portata di mano e di penna, un maestro, devi adottarlo a distanza, come si fa con i bambini del terzo mondo.
Io ho avuto la fortuna di averne conosciuto e riconosciuto almeno due.
Enzo Biagi, naturalmente, ma prima ancora mio padre. Davvero  vedovo, orfano e figlio di puttana. Davvero uno che ha «lasciato la moglie, i figli e lo ha seguito», questo mestiere, quando non dava né status né soldi, né successo: era il Dopoguerra, allora, ed era il sud estremo. Abbandonare il posto fisso per fare il giornalista era sintomo di stravaganza o di grave squilibrio psichico, davvero. Per lui era una passione irrinunciabile, e me l'ha insegnata. Le passioni forse non si insegnano, ma possono essere contagiate ...
Corrado Alvaro poco prima della guerra era uno dei due o tre giornalisti più importanti


d'Italia: era stato - quanti lo sanno? - il primo direttore del primo giornale radio della Rai. E suo padre gli diceva: «Ma che mestiere ti sei andato a scegliere? Non potevi fare il professore? Come gliela spiego io a quelli di San Luca che diavolo fai? Se io gli dico che fai il giornalista, loro lo sai che cosa capiscono? Che fai il giornalaio, che i giornali li vendi, non che li fai». E poi la vedovanza. Nel senso che questo è un mestiere che si prende tutto. Tutto. Tempo, spazio, attenzione, passioni,

sabati sera, domeniche, Natali,  fine d’anno. Tutto. Puoi farlo bene solo se hai la testa sgombra da impegni, problemi, anche spiccioli, orari da rispettare. È per questo che è stato per tanto tempo un mestiere solo maschile, tranne eccezioni davvero rarissime.
Usciamo stasera? No, non posso, domani ho il turno dell'alba. Vieni domenica a pranzo? Domenica? No, domenica lavoro, magari venerdì, venerdì sono libera. Libera? C'è stato un omicidio, devo andare, capire, e poi la conferenza stampa,
ne avrò per tutta la sera, anzi forse dormo lì, dove? Non lo so ancora, ci sarà un alberghetto, vedremo. E l'ultimo dell'anno, l'ultimo dell'anno che fai? Sono in redazione, una bottiglia di spumante coi colleghi, poi vedremo. Chi è che starebbe con una compagna così? E i figli, e la casa, e gli amici?  Questo è un mestiere che si prende tutto. Allora se sei Ulisse una Penelope che ti aspetta a casa, forse la trovi, ma se è Penelope a mettersi in viaggio, come farà Ulisse a ritrovarla?
Figlio di puttana, poi. Per un giornalista maschio vuol dire, in genere: essere spregiudicato, cinico, millantatore, cialtrone, superficiale, impiccione, ammiccante col potere. Uno che, come scriveva Maupassant, soppesa le notizie come i fruttivendoli trattano le mele o le pere che vendono al mercato.
Così George Duroy- Bel Ami entra per la prima volta in una redazione - «Che sai fare?», gli aveva chiesto il suo mentore - «niente? Allora è la condizione giusta per fare il giornalista», lui si guarda intorno e si mette ad ascoltare. I redattori
parlavano di un fatto di cronaca terribile, un adulterio complicato da ricatto; commentavano tra loro come i medici commentano una malattia o gli ortolani fanno coi legumi. Non ci si meravigliava né ci si indignava, dice, si trattava la faccenda
con quel colpo d'occhio pratico proprio dei mercanti di notizie, degli spacciatori della commedia umana un tanto alla riga. Certo, perché la notizia è anche una merce da vendere. Per una giornalista l'approccio ai fatti della gente è questo ed è qualcosa di più. Le donne hanno la percezione netta della vita e della morte. Ci sono a contatto, attraverso il loro sangue, ogni mese. Il corpo, la vita e la morte. Le donne hanno curiosità e sensibilità e capacità di cogliere i dettagli.
Le donne hanno 1'arte del racconto. Le donne sanno ricostruire e raccontare le storie. Nel quotidiano. Gli uomini parlano prevalentemente di sport e di politica. Le donne parlano della vita propria e della vita degli altri. E sanno raccontarla. Elogio del pettegolezzo, senza vergogna. Che cos'è il pettegolezzo se non una forma narrativa concisa e allusiva, metaforica e rielaborata di una storia di vita? Le donne sanno leggere le carte e costruirci sopra storie. Elogio delle cartomanti, senza pudore. Cosa  fanno se non inventare bellissime verosimili suggestioni e raccontarle?
Le donne conoscono tutte le sfumature dei colori. Dati alla mano, ricerche provate. Gli uomini hanno una percezione elementare e primitiva dei colori. Il rosso è rosso. Le donne sanno che il rosso ha mille sfumature: può essere granata o ciliegia, vermiglio o carminio. E ne conoscono i nomi. Le donne conoscono i nomi delle cose. Non vanno per perifrasi. Il più bel complimento al mio lavoro è arrivato da una ragazza, una studentessa universitaria che non ho mai visto in faccia, per posta elettronica. Avevo definito, in un mio servizio, un Cpt, un centro di permanenza temporanea per immigrati, un carcere. E questa ragazza mi scrisse: io la  ammiro, perché lei chiama le cose col loro nome! Le donne sanno fare più cose insieme; per questo, quando ci riescono, e accade raramente, sono ottimi direttori di giornali. A casa fanno così. Cento cose insieme e cento decisioni da prendere, ogni momento. Le vecchie sarte stavano alla macchina da cucire e intanto il sugo andava sul gas e intanto un'occhiata ai bambini e intanto aprivano la porta e intanto e intanto ...
Le donne hanno soprattutto i tempi delle donne. Vuol dire che sanno distinguere tra tempo privato e tempo pubblico, tra tempo della intimità e tempo della politica. È più difficile che le donne si diano completamente al potere come fanno gli uomini. C'è una parte di loro, quella che ha a che fare direttamente con la vita e con la morte, il loro essere naturalmente madri di figli voglio dire, anche se non ne hanno generati,
che le salva. È per questo che le donne hanno un rapporto così complesso e tormentato con la politica, si buttano nella mischia con meno fervore, con più distacco. Ormai studiano, viaggiano, lavorano, competono con gli uomini alla pari degli uomini, ma sfuggono da ruoli di gestione diretta del potere. E in una stagione in cui la politica sta col fiato addosso prepotentemente al giornalismo, questo vuol dire, per una donna giornalista, fare più difficilmente carriera, arrivare più difficilmente a ruoli di comando. Credo che sia una grave perdita, non solo per il mondo femminile, ma per il mondo e basta. Il punto di vista femminile della gestione del potere in fondo nessuno può dire di averlo davvero sperimentato. Se deve passare da compromessi insostenibili, nessun rimpianto. Non comanderanno, le donne giornaliste, ma forse fanno meglio il loro mestiere. Orfane, vedove e figlie di puttana.
E libere.

brano tratto da :  L' ultima lezione di Enzo Biagi  di ANNA ROSA MACRI'

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