lunedì 19 gennaio 2004

Carlo Bo di Giorgio Tabanelli


Carlo Bo (Sestri Levante, 25 gennaio 1911) nei primi anni Trenta, nel clima incipiente della dittatura fascista, giunto a Firenze per conoscere Giovanni Papini (il maggiore scrittore del tempo), iscrittosi alla Facoltà di Lettere di Piazza San Marco, conosce Piero Bargellini il quale comprende subito le sue qualità umane e letterarie e lo indirizza verso la critica letteraria. Con Nicola Lisi e Carlo Betocchi, gli scrittori del “Frontespizio” (la più nota e diffusa rivista di quegli anni), si verranno a creare un clima umano e un’amicizia per Bo indimenticabili (“si distinguevano soprattutto per il grande senso di umanità e di amicizia che avevano. Cosa che poi non ho più ritrovato” Carlo Bo). 
Egli dà vita con alcuni amici universitari  (Mario Luzi, Leone Traverso, Piero Bigongiari,


Alessandro Parronchi, Oreste Macrì) a un sodalizio di giovani poeti e scrittori che si ispirano alla poesia simbolista europea. I loro poeti di riferimento: Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Clemente Rebora e Dino Campana.

   La collaborazione alle riviste del tempo (“Letteratura”, “Corrente”, “Campo di Marte”, “Prospettive”, “Incontro”, “Primato”, “Rivoluzione”, e diverse altre), la polemica contro il fascismo, il culto della poesia, il rifiuto della storia e la traduzione dei maggiori poeti e scrittori stranieri, sono i presupposti che danno vita in quegli anni al movimento poetico-letterario più importante del Novecento: l’Ermetismo.
   “E’ stato un momento – peraltro molto vivo e intelligente – della poesia e della letteratura del Novecento. […] La poesia rappresentava l’unica lingua di questa nuova tribù.” (Carlo Bo)
   A quel nucleo di giovani e all’incipiente “movimento ermetico” (a cui si sentono uniti per ragioni poetiche ed esistenziali, Vittorio Sereni e Giancarlo Vigorelli, dalla Lombardia) sono più o meno collegati, a Firenze – per interessi e letture comuni, affinità, o anche per semplice amicizia – quelli che saranno i maggiori scrittori del tempo: Elio Vittorini, Vasco Pratolini, Romano Bilenchi, Tommaso Landolfi, Alfonso Gatto, Antonio Delfini, Carlo Emilio Gadda (e illustri “colleghi” stranieri di passaggio a Firenze: “Tutti sono stati a Firenze, o ci sono passati o vi hanno idealmente scritto.” Carlo Bo).
   Altri poeti del Novecento, coevi a questa generazione, saranno più o meno coinvolti nel confronto serrato con i temi esistenziali della “nuova poesia”: Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Libero De Libero, Sergio Solmi, Leonardo Sinisgalli, Sandro Penna. 
   Le prime importanti scoperte e letture, cui seguono le prime traduzioni, dei grandi poeti e scrittori – francesi, spagnoli, inglesi, tedeschi, russi, americani – avvengono in un clima crescente di discussione e confronto, quasi sempre al Caffè delle Giubbe Rosse, o nelle diverse trattorie e caffè di Firenze.
Montale e Vittorini al caffè delle Giubbe Rosse
   La Francia, in particolare, è la principale e comune fonte d’ispirazione – una sorta di “terra promessa” – per le acute e profonde riflessioni, da cui ha origine la sterminata
produzione letteraria di quegli anni: poesie, prose, racconti, romanzi, traduzioni, saggi, antologie, pagine di critica letteraria, articoli di giornale.
   Carlo Bo, nel 1938, incoraggiato da Piero Bargellini a riflettere sui giusti rapporti fra Vita e letteratura (il libro di Charles du Bos di quegli anni), è autore del saggio “Letteratura come vita”, considerato il manifesto dell’Ermetismo.
   Primo traduttore delle poesie di Federico Garcìa Lorca, dei lirici spagnoli e francesi, nell’ottobre del 1938 è all’Università di Urbino incaricato di Lingua e letteratura francese e di Lingua e letteratura spagnola (è Piero Bargellini a indicare a Bo, la cattedra a lui destinata).
   Tra i saggi più importanti: Otto studi (1939), Bilancio del Surrealismo (1944), L’assenza, la poesia (1945), Mallarmé (1945). 
   Dopo la collaborazione negli anni di guerra a  “La Nazione”, il giornalismo di Bo, a partire dal ’45,  si estende alle maggiori testate italiane del dopoguerra: “Milano-Sera”, “Il Nuovo Corriere”, “Il Corriere di Milano”, “L’Europeo”, “La Stampa”, “Il Resto del Carlino”, “Il Sabato”, “Gente”, “Il Corriere della Sera”.
   Impossibile enumerare o soltanto citare le introduzioni, recensioni, segnalazioni critiche, prefazioni, e le riviste a cui ha collaborato dal ’45 all’anno 2001.
   Nel dopoguerra la produzione saggistica è continua e incessante: Inchiesta sul Neorealismo (1951), Della lettura e altri saggi (1953), Riflessioni critiche (1953), L’eredità di Leopardi e altri saggi (1957), La religione di Serra, saggi e note di lettura (1967).
   Accanto alla critica letteraria, nasce in Bo quell’attenzione e quella analisi dei fatti quotidiani che lo rende acuto osservatore e critico dei costumi e delle tendenze nel rapido susseguirsi delle diverse stagioni. La riflessione morale e religiosa è condensata in diverse raccolte di saggi: Scandalo della speranza (1957), Siamo ancora cristiani? (1964), Sulle tracce del Dio nascosto (1984), Solitudine e carità (1985).
   Eletto Rettore dell’Università di Urbino nel marzo del ’47, nel volgere di un decennio trasforma un piccolo Ateneo di provincia in un centro di studi internazionale (verranno chiamati ad insegnarvi insigni personalità del diritto, della scienza e degli studi umanistici,  fra cui “i vecchi amici”, Traverso, Luzi e Parronchi).
   Dal tempo della guerra scandisce la settimana, pendolare in treno fra Milano e Urbino, e le diverse città che lo richiedono per celebrazioni, convegni, conferenze, premi letterari ed eventi pubblici (culturali, sociali e politici).
   La sua esperienza di “timoniere” dell’Ateneo urbinate costituisce un primato assoluto: è Rettore  Magnifico dal ‘47 ininterrottamente, fino alla sua morte, avvenuta a Genova il 21 agosto 2001.
   Nel luglio 1984 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini lo nomina Senatore a vita “per alti meriti culturali” ma anche per il suo impegno civile e politico.
   Il suo “magistero culturale” –  nel corso dei vari decenni – non ha avuto limiti: critico letterario, docente universitario, giornalista, rettore, commentatore e notista politico, religioso e di costume, presidente di giuria di premi letterari, umanista, senatore della Repubblica.       
   Carlo Bo è uno dei lettori – di libri, di uomini e di avvenimenti – più assidui, acuti e profondi del Novecento è “il personaggio corale” per antonomasia.   

di Giorgio Tabanelli 

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